mercoledì 17 giugno 2015

ALTRIMENTI CI ARRABBIAMO (dicembre 2007)


Dovrei imparare a leggere i messaggi che il Destino mi manda. Nel 1988, quando pubblicai su Nick Raider la storia intitolata Saigon, un lettore scrisse una lettera furibonda alla casa editrice, lamentando che il sottoscritto “parteggiava sfacciatamente per i Vietcong”. Ora, 1) Se si parteggia, si parteggia. “Sfacciatamente” cosa vuol dire? 2) Se anche avessi parteggiato per i Vietcong, cosa ci sarebbe stato di male? E comunque, 3) Non parteggiavo affatto per i Vietcong.

Perciò, scrollai le spalle e non mi curai nemmeno di rispondere al lettore, lasciando il compito alla redazione. Avrei dovuto pensare al vecchio detto: "Il buongiorno si vede dal mattino". Il Destino mi stava annunciando qualcosa. E cioè che quel lettore arrabbiato sarebbe stato il primo di una lunga lista.

Pochi anni dopo scrissi una storia per Nathan Never, Terra bruciata, in cui compariva una gang di motociclisti. Un motociclista mi scrisse arrabbiato per il fatto che i motociclisti della storia erano cattivi.

Qualche anno dopo, quando cominciai a scrivere Legs, il gruppo degli arrabbiati si infoltì fino a diventare una folla. I primi a essere infuriati erano i lettori che avevano conosciuto Legs sulle pagine di Nathan Never e che detestavano con tutte le loro forze il cambio di tono narrativo. Quanto alle mie storie, non facevano arrabbiare solo i lettori. Facevano arrabbiare anche Antonio Serra. Per non parlare dell’editore. Quando uscì Fotogrammi di morte protestarono i sostenitori del cosiddetto "cinema d'autore", quel tipo di cinema che io avrei sbeffeggiato incarnandolo nel presuntuoso regista Norberto Antonucci. Addirittura, facendo riferimento alla mia intera produzione, su un newsgroup mi si accusò di scrivere storie "anticulturali".

Perfino le mie storie di Tex sollevarono un’ondata di proteste, quelle dei puristi texiani. Ci fu chi si si indignò per la comparsa di un bordello in una storia, chi per il fatto che Tex stendeva un avversario con una ginocchiata nelle parti basse, e chi semplicemente non voleva leggere trame "poliziesche" su Tex. (In realtà avevo fatto di peggio: in entrambe le storie Tex sparava a una donna, ma le scene furono prontamente modificate in redazione. E mi chiedo cosa mi sarebbe successo se quelle scene fossero rimaste intatte).

Appena pochi anni prima, un mio articolo che metteva a confronto serie italiane e serie americane aveva suscitato l’ira funesta degli appassionati di comics americani. Mi ero macchiato di lesa maestà nei confronti di Neil Gaiman e Frank Miller, e fui punito con un delirante pezzo che comparve su una fanzine, e che terminava con una chiosa critica di indiscutibile pregio letterario: "Nathan Never fa cagare". Mosso a pietà, inviai all’incontinente (c/o la fanzine suddetta) due rotoli di carta igienica e una confezione di deodorante per w.c. Spero che ne abbia fatto buon uso.

Molti anni dopo scrissi un appassionato articolo elogiativo su Alan Moore (poi pubblicato nel libro Alan Moore: portrait of an extraordinary gentleman). Qualcuno mi accusò di spargere merda (sic!) su Alan Moore. Non oso immaginare le reazioni se l’articolo fosse stato dispregiativo.

Con lo sviluppo di internet la situazione si complicò. Se non intervenivo sui forum, i lettori si arrabbiavano ("Medda fa la primadonna!"). Se intervenivo, era ancora peggio. Riuscivo a far arrabbiare perfino i colleghi ("Medda scrive solo stronzate!" scrisse su un newsgroup un giovane sceneggiatore).

Alla fine ho deciso di limitare le mie esternazioni a questo sito, ovviamente senza riuscire ad arginare il fiume dell'ira. Ho fatto arrabbiare i videogiocatori, che mi hanno metaforicamente fatto a pezzi nei loro forum. Ho fatto arrabbiare almeno un paio di recensori, un patetico individuo che ha forwardato a diverse mailing-list una sequela di insulti al sottoscritto (così feroce che qualcuno gli ha chiesto "Ma Medda ti ha investito il cane?"); e poi ho fatto infuriare, letteralmente, decine e decine di nerd, wannabe e quelli che chiamo dreaming of (la categoria peggiore: quelli che non vogliono realmente fare i fumetti, ma vagheggiano di farli - ovviamente molto meglio di quelli che li fanno nel mondo reale).

L’ultimo ad arrabbiarsi col sottoscritto è stato un appassionato di manga, Emanuele D.A., che dopo aver letto Dylan Dog n. 256, Il feroce Takurr, mi ha inviato una lettera inferocita. Secondo Emanuele, nell’albo suddetto avrei insultato i lettori di manga ironizzando su un collezionista di fumetti del Sol Levante.

Non che la cosa mi faccia effetto. "Ve ne sbattete le palle" ringhia Emanuele nella sua lettera. E ha perfettamente ragione: infatti non gli ho chiesto scusa. Da scrittore, non devo scusarmi di niente, e pazienza se qualcuno si arrabbia.

In realtà simili reazioni esacerbate, nel loro piccolo, sono la spia di un problema più generale. Perché ci sono "reazioni esterne", diciamo così, a ogni tipo di espressione artistica. Soprattutto a quelle che stanno sotto i riflettori molto più dei nostri fumetti. E queste "reazioni" implicano l’idea che ci sono cose che non si possono dire. Un’idea che, ovviamente, non mi trova per niente d’accordo, perché implica a sua volta che debba esistere un controllo su quanto viene detto, scritto, cantato, disegnato, filmato. In parole povere, questa idea legittima la censura.

Ma siamo ancora sotto le feste, l’anno nuovo si avvicina, e permettetemi di rimandare l’argomento censura. Salvaguardiamo il nostro fegato per il cenone di fine anno.

Ne approfitto per fare gli auguri a tutti, amici e nemici, colleghi e lettori.

E sì, anche e soprattutto all’offeso Emanuele.