lunedì 8 giugno 2015

LE LINGUE MORTE (giugno 2007)

I primi anni duemila avevano dimostrato l'interesse di Hollywood per il fumetto. Ma Antonio Serra e io ci chiedevamo se il successo planetario di un film tratto da un fumetto poteva realmente giovare ai fumetti. Oggi lo sappiamo: la  serie tivù tratta da The Walking Dead ha reso il suo autore Robert Kirkman milionario, ma non ha avuto nessuna ricaduta positiva sul medium fumetto, e tantomeno l'hanno avuta i vari film tratti dai supereroi "company owned" della Marvel e della DC. Nel 2007 scrivevo questo:

Alla fine degli anni novanta il fumetto italiano stava fronteggiando una vistosa diminuzione delle vendite. Il mio amico Antonio Serra si presentava sorridente agli incontri col pubblico ed esordiva dicendo: “Buongiorno a tutti. Noto con piacere che è sempre vivo l’interesse per le lingue morte... il latino, il greco antico, il fumetto...”

Era una boutade, ovviamente. Antonio non ha mai creduto - come non ho mai creduto io - alla morte effettiva del medium, che ha le proverbiali sette vite dei gatti. Parlava della fine del mestiere del fumetto in Italia.

Ma quanto si arrabbiavano i lettori. E quanto si arrabbiano ancora quando gli dici che il mestiere del fumetto tra qualche anno non esisterà più come tale. Quando spieghi che ci saranno autori - scrittori e illustratori - che faranno anche fumetti... in mezzo a cento altre cose. Per “passione”, come amano dire i wannabe, e non per vile denaro? Non esattamente. Lo faranno soprattutto perché nessun editore sarà disposto a investire più sul fumetto. A meno che...

A meno che non si tratti di un progetto multimediale.

Già adesso il mercato del medium fumetto è considerato dalle majors un mercato da pezzenti. Non è certo al fumetto che la Walt Disney dedica i maggiori investimenti. E, per fare un esempio recente, la proprietà di Gardaland ha chiuso l’albo a fumetti dedicato al draghetto Prezzemolo. L’albo - è bene ribadirlo - era in attivo. Semplicemente, il business generato dal fumetto era irrisorio rispetto a quello generato dal merchandising; e così la proprietà ha deciso che poteva tranquillamente fare a meno dell'albo, preferendo destinare il suo budget ad attività più redditizie.

D’altronde, non è un caso che Frank Miller ora si dedichi più al cinema che al fumetto. È là il vero business. E del resto un adattamento cinematografico o a cartoni animati “spinge” le vendite di un fumetto. (Qui in Italia c’è voluto il film per portare 300 in edicola, in edizione economica). (1)

Dobbiamo essere grati a Frank Miller e ai suoi colleghi baciati dal successo. Non tanto e non solo per quanto di buono hanno realizzato, ma perché, grazie a loro, i fumetti cominciano a essere equiparati ai romanzi nel rapporto col cinema. Cominciano a essere considerati realmente marketable. E la Francia non sta certo a guardare: poco importa che Blueberry e l’Asterixlive-feature” fossero film orribili. Comunque sia, sono stati realizzati; come è stata realizzata - e con approccio filologico - la serie animata di Corto Maltese. E il lungometraggio in animazione di Persepolis. E poi periodicamente si riparla del progetto di Spielberg su Tintin. (2)

Ma non sono tanto sicuro che, sulla lunga distanza, gli appassionati di fumetti avranno ragione di esultare. Certo, le prospettive economiche per l’autore che approdasse al cinema sarebbero rosee. Sarebbe la fine dell’iconografia classica del fumettaro sfigato.

Ma, come ricorda Frank Miller nella sua conversazione con Will Eisner, il successo degli autori della sua generazione è stato particolarmente favorito da una circostanza fortunata: il boom del direct market, delle librerie specializzate negli USA a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta. E, di conseguenza, il fiorire di case editrici indipendenti lontane dalla logica delle majors, che hanno permesso agli autori di far fruttare al meglio la loro creatività.

Quelle opere che noi ora vediamo trasposte al cinema - From Hell, Hellblazer (Constantine), V per Vendetta, Sin City, 300 - sono nate in un contesto di autonomia autoriale e di libertà creativa; quella libertà che alla fine anche le majors avevano concesso obtorto collo per fronteggiare la concorrenza o, semplicemente, per restare al passo coi tempi. Bevevano per non affogare. Il grande successo, come si dice, è stato più trovato che cercato.

Ma cosa succederà d’ora in poi? Se il cinema e i videogiochi offrono la possibilità di un mercato lucroso, perché mai un editore dovrebbe pubblicare “solo” un fumetto?

Quale sviluppo artistico può avere un medium la cui unica prospettiva è offrire semplicemente un punto d’appoggio per far fruttare altri media?

Bill Watterson, anni fa, compì una scelta radicale. Anzi, due. La prima fu quella di non continuare la sua celeberrima strip Calvin & Hobbes, ritenendo che quei personaggi avessero chiuso il loro ciclo. Non è stato il solo, certo. Anche Quino, dopotutto, smise di disegnare Mafalda. Ma Watterson ha fatto un passo ulteriore: ha rinunciato a ogni possibilità di merchandising, rifiutandosi di far comparire Calvin & Hobbes su qualsiasi altro medium che non fosse il fumetto. Rinunciando, come è facile intuire, a milioni di dollari in diritti d’autore.

Dave Sim non ha mai permesso che il suo Cerebus fosse tradotto all’estero per timore che fosse in qualche modo “snaturato” dalla pubblicazione su formati diversi e in lingue diverse. (3)

Art Spiegelman non ha mai concesso, per motivi che forse è più facile intuire, i diritti per l’adattamento cinematografico di Maus.

Ma fateci caso: stiamo parlando di fumetti concepiti come fumetti, e che solo in un secondo momento hanno dovuto affrontare la possibilità di diventare qualcos’altro.

In un futuro che potrebbe essere molto vicino, una presa di posizione simile da parte degli autori sarà possibile? E soprattutto, gli editori la permetteranno?

Quale editore si accontenterà di pubblicare un "semplice" fumetto? Quale autore si accontenterà di realizzare “solo” un fumetto, senza pensare fin dal primo momento a un eventuale sfruttamento del concept per il cinema e i videogiochi, dei personaggi per una linea di pupazzetti, del logo come marchio per T-shirt e portachiavi?

Possono convivere creatività e “georgelucasizzazione” del fumetto?

Paradossalmente, la boutade di Antonio Serra potrebbe trasformarsi in agghiacciante profezia. Il fumetto potrebbe non solo sopravvivere, ma addirittura prosperare a livello di presenza sul mercato. Ma potrebbe morire “dentro”, come linguaggio, come espressione profonda di sentimenti, sogni, idee; di tutto ciò che ha fatto del fumetto - a dispetto dei pregiudizi accademici - la Nona Arte.

NOTE DI AGGIORNAMENTO: 

1) Sia Sin City che 300 hanno avuto un sequel (Una donna per cui uccidere e 300: L'alba di un impero), e Frank Miller ha diretto il film Spirit, ispirato all'omonimo fumetto di Will Eisner. 

2) Il film su Tintin è stato poi realizzato da Spielberg nel 2011.  

3) Dave Sim ha cambiato idea in seguito. In Italia il primo volume di Cerebus è arrivato nel 2010, pubblicato da Black Velvet.