giovedì 6 agosto 2015

COME STEVE JOBS HA ROVINATO I FUMETTI

Questo articolo è inedito, ma non nuovo. E' l'ultimo articolo che scrissi per il vecchio sito, e che poi, avendo deciso di chiudere il sito, rinunciai a pubblicare. Prende lo spunto da un acuto e divertente articolo del cartoonist Tom Pappalardo, uscito qualche anno fa. Pappalardo mostra come il progresso della tecnologia abbia portato alla miniaturizzazione della stessa... e abbia reso i fumetti molto meno spettacolari.


1967: la rappresentazione del computer nella fantascienza è Hal 9000 in 2001 Odissea nello Spazio. Ancora negli anni sessanta i calcolatori elettronici occupavano una stanza intera. Quale poteva essere lo sviluppo “futuribile” di questa idea? Quello mostrato da Kubrick: che i calcolatori occupassero uno spazio grande come una cattedrale. E invece, come sappiamo, nel mondo reale le cose sono andate in senso opposto. Oggi il computer è un rettangolo delle dimensioni di un quaderno, che tenete agevolmente in mano. Qual è lo sviluppo “futuribile” della situazione attuale? I chip sottopelle. L’invisibilizzazione della tecnologia. Quindi, la fine della fantascienza (almeno nel suo aspetto grafico).

Non a caso, attualmente, l’unico filone fantascientifico che offra al fumetto possibilità di invenzione visiva è lo steampunk. Nel campo della fantascienza “realistica” i videogiochi – costretti a tenere il passo con le innovazioni tecnologiche reali - hanno già fatto vedere di tutto. Mentre la tecnologia ottocentesca, “pesante” e barocca, riempie l’occhio e risulta ancora appagante in termini di spettacolarità. Sarà un caso, ma una delle ultime serie a fumetti di successo da noi è stata Greystorm.


Ma Steve Jobs non solo ha rovinato la fantascienza. Ha rovinato anche la rappresentazione del nostro quotidiano.

Pappalardo fa l’esempio, perfetto, della rappresentazione nei fumetti del televisore. Oggi il televisore è un oggetto che non ha più profondità. È un rettangolo nero dello spessore di un centimetro, e possiamo appenderlo al muro. Come nota acutamente Pappalardo, in un fumetto l’unica differenza tra un televisore e un quadro è la presenza della spia di accensione. Il che ci costringerà, tra l’altro, a disegnare un televisore a schermo piatto avendo sempre cura di non coprirne gli angoli in basso.

Mi spiego meglio: se in una vignetta ho la visione d’insieme di una stanza con il televisore in secondo piano un oggetto in primo piano, questo oggetto deve essere posizionato attentamente: non deve coprire la parte bassa del televisore impedendo la vista della lucina nell’angolo. Perché senza quel puntino non ho modo di indicare al lettore – a meno di non inserire un balloon – che quel rettangolo sullo sfondo è una tivù e non un quadro. E, in un albo a colori, forse l’uso del colore può rendere il tutto comprensibile. In un fumetto in bianco e nero e di formato più piccolo, come i nostri albi, la faccenda è più problematica.

Questo vale se il televisore è acceso. Un televisore spento su una parete risulterà, a seconda della scelta estetica, come un rettangolo nero o un rettangolo vuoto. Sgradevolezza estetica in entrambi i casi.

E attenzione: vi prego di notare che abbiamo ancora la presenza del telecomando per aiutarci a capire che un televisore è un televisore (a volte, nei nostri fumetti, i telecomandi fanno addirittura “bzzz”, effetto sonoro). Ma si stanno già diffondendo i televisori con i sensori di movimento. Si cambia canale semplicemente agitando una mano. E a questo punto dovremo disegnare un tizio con la mano sollevata. Cosa sta facendo questo imbecille? Sta salutando qualcuno fuori campo? Ah, no, sta cambiando canale.

I sensori di movimento prima o poi sostituiranno anche gli interruttori della luce nelle nostre case. La luce si accenderà automaticamente quando entreremo dentro una stanza, e si spegnerà quando usciremo. Niente più vignette con il dito sull’interruttore, niente più effetto sonoro, addio click.

E ora parliamo del telefono. Un tempo il telefono era il telefono, punto e basta. Aveva un disco con i numeri scritti dentro. Inconfondibile. Oggi anche il telefono è un rettangolino nero. Se un tempo vedevi un personaggio infilare il dito nel disco del telefono, la vignetta poteva restare tranquillamente muta: l’azione era una soltanto, senza possibilità di errore: quel personaggio stava telefonando.

Potevi anche far capire che il telefono squillava senza disegnarlo. Bastava l’effetto sonoro. RRRIING. Anche se il telefono era fuori campo, leggevi RRRIING e sapevi che da qualche parte, oltre i confini della vignetta, c'era un telefono che squillava.

Oggi i telefoni non fanno più RRRIIING, prima di tutto. E, se disegni un personaggio che digita sul maledetto rettangolino nero, ti chiedi per forza che cosa sta facendo in realtà. Sta componendo un numero? Sta chattando su WhatsApp? O sta inviando una foto? Se non lo spieghi con la vignetta successiva (facendo vedere il destinatario che risponde alla chiamata o che riceve immediatamente il messaggino o la foto), la vignetta da sola non è autosufficiente. Un’altra soluzione – narrativamente orribile – è esplicitare con una battuta di dialogo o una didascalia di pensiero : “Sarà meglio avvisare mia moglie che oggi ho riunione al lavoro e farò tardi per la cena”. Urgh.

Le cose si complicano ancora di più se la telefonata avviene con l’ausilio dell’auricolare. Pappalardo ci ricorda che un tempo l’auricolare era una tecnologia per pochi. Roba da film. Gli auricolari li avevano le spie. Le guardie del corpo del presidente degli Stati Uniti, che noi vedevamo nei film. Oggi gli auricolari li portiamo tutti.

Ecco che nella nostra storia compare un personaggio con l’auricolare. Cosa sta facendo? Ascolta musica? In tal caso dovremmo mettere delle note musicali accanto alla testa, a mo’ di effetto sonoro.

Se il nostro personaggio sta telefonando e dice una battuta di dialogo, non lo si potrà disegnare in campo lungo, e nemmeno in figura intera. Bisognerà inquadrarlo da vicino per mostrare al lettore gli auricolari e chiarire che sta parlando al telefono. Altrimenti il lettore penserà che questo personaggio è un pazzo che parla da solo (o, se sta camminando per strada, il lettore penserà che si rivolge alla persona più vicina a lui). Se proprio siamo costretti a usare il campo lungo, allora dovremo mettere nella vignetta due balloon. Uno proveniente dal personaggio, scritto in italics a indicare una voce filtrata da un microfono. E l’altro balloon, normale, per la battuta di dialogo del personaggio.

Ma la cosa per cui avrei fatto fuori io Steve Jobs (o chi per lui) è l’e-reader. L’invenzione dell’e-reader è una delle cose che più ci complicano la vita. Togliere i quotidiani e i libri dalle storie a fumetti è un colpo micidiale per noi tutti. Innanzitutto, un quotidiano aperto in mano a un personaggio è un elemento grafico che riempie la vignetta in modo ben diverso da un e-reader. Come è successo con la miniaturizzazione dei computer, l’e-reader “spoglia” graficamente la vignetta, laddove il quotidiano la riempiva.

Ma ci sono anche contraccolpi ben più seri sulla narrazione. In un fumetto, il titolo di un quotidiano è usato per fornire al lettore informazioni su un evento in maniera “fluida” e naturale. Se mostriamo il titolo di un giornale, possiamo servircene per dire al lettore – senza dialoghi esplicativi o didascalie - che il delitto mostrato nelle prime pagine della storia è ancora senza un colpevole;” la polizia dà la caccia al killer”, etc.

Possiamo usare una vignetta con un giornale anche come stratagemma narrativo per fare dell’ironia: vediamo Diabolik, mascherato da vecchietto, che legge un giornale con un titolo a nove colonne “Furto al Central Museum”, etc.

Possiamo usare un giornale come elemento “meccanico” del plot: mostriamo la guardia del museo che sta leggendo il giornale, ed è così assorto nella lettura che non si accorge di Diabolik che gli sguscia alle spalle. Fate la controprova e immaginatevi la stessa scena sostituendo l’e-reader al giornale. Vi assicuro che narrativamente non funziona. O non funziona con la stessa efficacia.

E non solo: un giornale – o meglio ancora un libro – può essere usato come elemento per caratterizzare un personaggio. Il titolo del libro che un personaggio sta leggendo ci dà qualche informazione sul suo carattere. Le letture ci dicono molto di una persona.

Ebbene, tutto ciò sparisce con l’e-reader. L’e-reader non ci dice che cosa sta leggendo un personaggio. A meno che non facciamo dire (o, peggio ancora, pensare) al nostro personaggio: “È proprio avvincente questo romanzo di Ken Follett…”. Brrr.

In parole povere… l’e-reader ha reso perfettamente inutile mostrare in un fumetto un personaggio che legge. Anche perché in un fumetto in bianco e nero, e in una inquadratura non ravvicinata, l’e-reader diventa indistinguibile da uno smartphone o da un tablet (cosa? Volete farmi notare che questi oggetti hanno diverse proporzioni? Se pensate che un disegnatore si preoccupi delle proporzioni degli oggetti, siete inguaribili ottimisti…).

Forse non è esatto dire che “Steve Jobs ha rovinato i comics", come titola Pappalardo. 

Certo è che agli autori di comics ha complicato la vita.