sabato 29 agosto 2015

QUANDO BONVI RACCONTO' TSUSHIMA

Ho ritrovato una vecchia recensione, scritta nei primi anni duemila, di uno dei più bei lavori di Bonvi.


A metà degli anni settanta il fumetto europeo è scosso da un sussulto d'orgoglio: si comincia a pensare che il fumetto non è più "roba da bambini", ed è degno di comparire sugli scaffali delle librerie senza sfigurare. Sergio Bonelli si lascia contagiare dall'entusiasmo e vara una collana di volumi eleganti, di grande formato e con copertina cartonata. La collana si intitola Un uomo un'avventura, e si regge su un'idea semplice quanto efficace: raccontare storie d'avventura con protagonisti di fantasia, sullo sfondo di eventi reali.

Gli autori contattati costituiscono il gotha del fumetto italiano, dai rappresentanti di quello che allora era chiamato "fumetto d'autore" (Pratt, Manara, Crepax, Toppi) ai più stretti collaboratori di Sergio Bonelli (Castelli, D'Antonio, Berardi & Milazzo...) Più, inaspettatamente, un autore umoristico: Bonvi. Cosa ci faccia il Bonvi in mezzo a tanti illustri rappresentanti del fumetto realistico avventuroso, non si capisce bene, a prima vista. Ma si capisce dopo avere letto il volume: perchè L'uomo di Tsushima non solo è uno dei più bei volumi della collana, ma anche una delle più belle cose mai fatte dall'autore delle Sturmtruppen, e zenith della prima fase della sua carriera.

giovedì 6 agosto 2015

COME STEVE JOBS HA ROVINATO I FUMETTI

Questo articolo è inedito, ma non nuovo. E' l'ultimo articolo che scrissi per il vecchio sito, e che poi, avendo deciso di chiudere il sito, rinunciai a pubblicare. Prende lo spunto da un acuto e divertente articolo del cartoonist Tom Pappalardo, uscito qualche anno fa. Pappalardo mostra come il progresso della tecnologia abbia portato alla miniaturizzazione della stessa... e abbia reso i fumetti molto meno spettacolari.


1967: la rappresentazione del computer nella fantascienza è Hal 9000 in 2001 Odissea nello Spazio. Ancora negli anni sessanta i calcolatori elettronici occupavano una stanza intera. Quale poteva essere lo sviluppo “futuribile” di questa idea? Quello mostrato da Kubrick: che i calcolatori occupassero uno spazio grande come una cattedrale. E invece, come sappiamo, nel mondo reale le cose sono andate in senso opposto. Oggi il computer è un rettangolo delle dimensioni di un quaderno, che tenete agevolmente in mano. Qual è lo sviluppo “futuribile” della situazione attuale? I chip sottopelle. L’invisibilizzazione della tecnologia. Quindi, la fine della fantascienza (almeno nel suo aspetto grafico).

Non a caso, attualmente, l’unico filone fantascientifico che offra al fumetto possibilità di invenzione visiva è lo steampunk. Nel campo della fantascienza “realistica” i videogiochi – costretti a tenere il passo con le innovazioni tecnologiche reali - hanno già fatto vedere di tutto. Mentre la tecnologia ottocentesca, “pesante” e barocca, riempie l’occhio e risulta ancora appagante in termini di spettacolarità. Sarà un caso, ma una delle ultime serie a fumetti di successo da noi è stata Greystorm.


Ma Steve Jobs non solo ha rovinato la fantascienza. Ha rovinato anche la rappresentazione del nostro quotidiano.

sabato 1 agosto 2015

I GENI, I MAESTRI E TUTTI GLI ALTRI (agosto 2012)

Una riflessione estiva di qualche anno fa. E anche un'occasione per ricordare due grandi artisti. Diversissimi fra loro, ma diventati una parte importante della nostra cultura. 



Agosto, come dice il mio amico Tito, “è una lunga domenica”, e favorisce discussioni un po’ oziose sui massimi sistemi. Del tipo: qual è la molla che spinge in avanti la creatività?

Com’è che si arriva a creare per un pubblico? Cos’è che ti fa mettere mano a una tastiera (un tempo era una penna), a uno strumento musicale, a una macchina da presa, pensando che hai qualcosa da dire al mondo, e che sei in grado di comunicarla?

Molti anni fa, quando ero solo un ragazzino che sognava di scrivere, mi capitò di vedere in televisione un’intervista a Fabrizio De Andrè. De Andrè parlava del suo album Storia di un impiegato, e raccontava di averne regalato una copia autografata al poeta Gregory Corso. De Andrè disse che reputava Corso (scomparso nel 2010) un maestro. E da qui partì con una digressione sull’Arte che non ho mai più dimenticato.