martedì 17 novembre 2015

HOLY FRANK! (dicembre 2011)

Recensione di Holy Terror di Frank Miller, un lavoro indigesto a molti, e non per motivi meramente artistici.


“Se mi aspetta una carriera nel fumetto, spero che sia come quella di Bob Dylan”. Così diceva, più di vent’anni fa, un giovane autore di nome Frank Miller. Non parlava di fama, successo e denaro; si augurava qualcosa di ben più ambizioso: acquisire una “voce”, una identità artistica indiscutibilmente originale, anche pagandola cara in termini di consenso. E in effetti è successo: Miller ha lasciato il segno nel medium percorrendo una strada tutta sua.

Ultimamente Miller è tornato alla ribalta delle cronache non per un lavoro fumettistico, ma per una sparata sul suo blog contro i manifestanti di “Occupy Wall Street”. E in aggiunta al suo sconcertante (eufemismo per “deludente”) debutto registico con The Spirit e a una latitanza fumettistica di molti anni, interrotta dal recente e discusso Holy Terror, questa sparata reazionaria è sembrata a molti la prova definitiva che Miller è un artista ormai “bollito”.

Terminato di leggere Holy Terror, io della “bollitura” di Miller non sono affatto sicuro. Intendiamoci, non sono nemmeno sicuro che Holy Terror sia un “bel” fumetto; ma non mi sento di liquidarlo, con una scrollata di spalle, come il flop di un artista in crisi, il delirio senile di un reazionario o un lavoro tirato via alla bell’e meglio per “tornare nel giro”.

Anche perché Holy Terror è con ogni evidenza un lavoro meditato e fermamente voluto, sostenuto da un impegno grafico che Miller non esibiva almeno dai tempi di 300.


domenica 1 novembre 2015

WITNESS (2006)

Ho ritrovato un vecchio articolo, scritto nel 2006, su un film che amo molto, Witness di Peter Weir. L'unico caso in cui il regista australiano si è cimentato nel "genere", ovviamente interpretandolo a modo suo, ma senza la pretesa intellettualistica di trasformarlo. Regia di classe, ovviamente, ma anche sceneggiatura di ferro (dei coniugi Earl e Pamela Wallace e di William Kelley). E la fotografia di John Seale, ispirata ai colori della pittura fiamminga, è una gioia per gli occhi. Se ricordate gli anni ottanta solo per I predatori dell'arca perduta, I Blues Brothers e Ghostbusters, vi consiglio caldamente di recuperare questo film. 


A Filadelfia, un bambino di religione Amish, Sam, è testimone dell’omicidio di un poliziotto. Il detective John Book si occupa del caso e scopre ben presto che gli assassini sono poliziotti corrotti. Benché ferito gravemente in un agguato, il detective si preoccupa di proteggere il piccolo Sam e sua madre Rachel. Li carica in macchina e li riporta al sicuro, nella loro comunità. Ma Book arriva in condizioni gravissime: agli Amish non resta che cercare di curarlo e sperare che i poliziotti corrotti non lo trovino...

L'incipit di Witness di Peter Weir è puramente thriller: un delitto, un poliziotto che si imbatte in un’indagine più grande di lui, una vedova e un bambino in pericolo... 



All'epoca (1984), un thriller era esattamente quello che il regista stava cercando. Weir racconta che, amareggiato dal blocco della lavorazione di The Mosquito Coast, non voleva restare fermo. Aveva bisogno di un progetto. Witness - una sceneggiatura di Earl & Pamela Wallace e William Kelley - gli sembrava il copione giusto: un solido film di genere, avvincente, senza grandi problemi produttivi. Una passeggiata, per il regista di film intensi come Picnic a Hanging Rock, Gallipoli, Un anno vissuto pericolosamente. E poi il produttore era un tipo affidabile quanto pragmatico come Edward S. Feldman. La star coinvolta era nientemeno che Harrison Ford, reduce da Blade Runner. Una volta scritturata una giovane attrice esordiente, Kelly McGillis, sembrava bell’e pronto il prodotto hollywoodiano più classico. Ma Witness sarebbe diventato ben altro.